Tempo immobile pensiero in movimento – Ernesto Angelo Ubertiello

Dal 18 Novembre 2023 al 23 Dicembre 2023

Tempo immobile, pensiero in movimento

Di sogni sospesi, storie eterne e favole innocenti

Esistono luoghi in cui i silenzi sono fatti per essere ascoltati. Sono vivi, palpitano al di sotto delle apparenze.

Esistono luoghi in cui i sensi non possono vivere uno separato dall’altro ma si intrecciano in profondità senza mai annodarsi.

Esistono luoghi in cui il tempo riposa in attesa di essere trovato. Si nasconde come per gioco con la speranza di essere scoperto con le mani nel sacco, lì, pronto a correre in avanti o a tornare indietro sui suoi passi.

Esistono luoghi in cui oggi è al tempo stesso una forma di futuro e una forma di passato. Esistono luoghi in cui non c’è limite alla possibilità.

Qui si può essere foglia e si può essere sentiero. Nel sottobosco non è indispensabile scegliere.

Si può osservare la vita dall’alto; si possono sussurrare storie all’orecchio del pellegrino del tempo e poi lasciarsi cadere là, insieme all’autunno, per diventare una nuova storia che qualcuno racconterà.

Si può tracciare una via, suggerire lo spazio in cui appoggiare l’ombra dei passi; si possono raccogliere le orme del cammino di centinaia di persone e continuare a rievocarne la memoria.

Si può essere una, si può essere l’altro, o si possono essere entrambi.

Sono spazi reali, fisici e umani, pronti a parlare di noi, con noi. Ci guardano, ci ascoltano, ci abbracciano mentre noi cerchiamo di esplorarli. Entrare nel sottobosco è un atto di scoperta.

Ci si entra come da bambini, un passo alla volta, un piede dietro l’altro. Non c’è un vero e proprio confine o un punto di inizio. Comincia piano piano, come un dipinto che prende gradualmente colore: la ghiaia sempre più fine e leggera, le prime foglie che scricchiolano sotto ai piedi, il rumore del vento che si mescola a quello di un ruscello lontano, l’eco che si fa sempre più profondo man mano che il sentiero avanza.

Poi, quasi senza accorgersene, ci si ritrova circondati dagli alberi. E non è più un’esperienza di tutti, indistinta e vaga, ma da quel momento diventa una nuova storia intima e personale.

Ci sei tu e ci sono gli umori del sottobosco.

Sotto ai tuoi piedi c’è un tappeto colorato: il suo odore e i suoi suoni croccanti ti riempiono i sensi. Tra i rami, lassù, in alto, entrano bagliori improvvisi. Alcuni sembrano accecare il tuo sguardo, altri si appoggiano con garbo su una natura che aspetta.

Tutto sembra statico e immobile, silenzioso, perenne. Ma non lo è mai davvero. C’è tutta una vita che scorre tra le pieghe di una corteccia, c’è l’eterno ritorno del tempo, ci sono le promesse della primavera e i ricordi degli anni trascorsi a incastonare un anello sull’altro. In un sottobosco che vive ci sono le pulsioni e le tensioni dei nostri giorni, gli equilibri dinamici tra dimensioni opposte, la vita e la morte, la gioia e il tormento di una natura che non è altro che la nostra natura, meravigliosa, fragile e umana.

Siamo entrati in un sistema di cui abbiamo sempre fatto parte, ci siamo addentrati oltre i confini dell’abitato, ci siamo persi in un insieme sinestesico di sensazioni che ci hanno condotto ad un’unica scoperta: il velo è caduto. Niente è più scontato. Da qui in avanti sono lo stupore e la meraviglia a reggere la bussola che orienta il nostro sguardo. Cosa si nasconde sotto a quella foglia? Cosa troverò oltre la curva del sentiero? Speranze, aspettative, qualche piccolo timore forse. Chi è passato qui prima di me? Lascerò una traccia involontaria del mio passaggio? Un’impronta nel sentiero, una foglia che sussulta, un ramoscello a terra, magari? E infine, cosa succederebbe se fosse proprio questa distesa di muschi, profumi e suoni riverberati nello spazio ad aver lasciato un segno perenne dentro di me?

Il sottobosco raccontato da Ubertiello è il passaggio dentro allo specchio, è ciò che si trova oltre il fondo dell’armadio, è un viaggio in una locomotiva a vapore che corre senza fretta verso meravigliose destinazioni. I suoi non sono solo alberi, ma sono racconti di storie eterne e favole innocenti.

In ogni sguardo posato su quella natura così piccola e grande ci sono sogni sospesi e ricordi di istanti senza tempo, fissati nella materia come fotografie dai contorni stinti e un po’ sgualciti.

Ed è proprio lì, sul confine effimero tra de-finito e non finito, che si cela il dialogo tra l’uomo e la natura, tra il tempo e lo spazio, tra lo sguardo e l’esperienza. È lì, nei bianchi e nelle aree in cui la materia si è consumata o non si è ancora davvero formata, che si apre la porta da cui possiamo entrare.

É lo spazio del dialogo, della nostra partecipazione, è lo spazio che riporta all’equilibrio quell’insieme pulsante di vibrazioni, colori, sensazioni e odori.

Non sono vuoti fatti di assenze ma ripostigli preziosi in cui tenere al sicuro la consapevolezza che ciò che si vede non basta a descrivere ciò che realmente c’è. Qualcosa sfuggirà sempre all’indagine minuziosa del nostro occhio, qualcosa continuerà ad esistere anche al di là dei confini limitati del nostro sguardo. Non possiamo vedere tutto, ma possiamo percepirlo. Possiamo osservare il bianco della tela o il fondo dissolto di un tronco non finito e sentir emergere dal profondo le nuove sfumature di realtà in grado di completare l’immagine nella nostra mente.

Il sottobosco di Ubertiello persegue quindi la virtù dell’equilibrio non solo tra chiari e scuri, tra colori caldi e colori freddi, tra elementi che tendono alla vita ed elementi che tendono alla morte, ma anche tra ciò che viene detto e ciò che invece è taciuto.

Nelle istantanee di questa natura che cambia, ora ammantata di veli nebbiosi, ora cullata sotto foglie distese o ricoperta da strati di neve sottile, emergono veri e propri ritratti. Ogni albero, ogni foglia, ogni traccia di sentiero sotterraneo esprime un proprio modo di essere, un carattere che lo contraddistingue da tutti gli altri. Ci sono foglie che cadono, discrete e mute, e foglie divenute baluardi di forza, capaci di resistere aggrappate alla loro ultima speranza legnosa. Ci sono rami dai pensieri lisci e scorrevoli, e ci sono tronchi dall’animo rugoso. Ci sono muschi sprezzanti che conquistano i primi piani e arbusti sottili ma ostinati che intralciano il cammino. Ci sono timide radure che respirano la nebbia del suolo ed alberi esuberanti che risplendono tra i raggi del sole.

Infine, mai ritratti ma pur sempre silenziosamente presenti, ci siamo noi: seduti su una roccia, chini davanti ad una cascata di foglie, arrampicati su un ramo per ammirare da vicino i licheni o sdraiati sul sentiero con il naso all’insù per vedere che il sole, intrufolandosi tra le foglie, si trasforma in coriandoli di luce.

Curiosi e stupiti, di nuovo bambini, possiamo ora riemergere dal sentiero portando con noi il profumo di un’umidità che sa di antico e la consapevolezza che non si entra nel sottobosco per stare da soli. Si entra nel sottobosco per stare con il sottobosco.

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